Sono presenti 15564 news.

20/11/2024
GENESIS
Fans in subbuglio: arriva ''The Lamb Lies Down on Broadway 50th anniversary edition'' in cofanetto 4 cd o 5 vinili

19/11/2024
MUSICA ITALIANA
Chi se l'aspettava? All'estero l'ascolto dei nostri artisti è salito del 160%

tutte le news


news - rassegna stampa

21/02/2018   BOB DYLAN
  1988-2017. Dell’iceberg la punta: 30 anni di ''Never Ending Tour'' in 30 performance memorabili, di Samuele Conficoni - 1° puntata

Puntata 1 di 5

Premessa
Durante il suo Never Ending Tour, abbreviato anche con la sigla “NET”, iniziato il 7 giugno 1988 in California e tuttora in corso, Bob Dylan ha tenuto, a oggi, 2903 concerti. L’ultima data del 2017 è stata a New York il 25 novembre; la prima del 2018 sarà a Lisbona il 22 marzo. Dal 1988 a oggi, Dylan non si è mai preso un solo anno di pausa, tenendo una media di quasi 100 show all’anno. Per celebrare il trentesimo anniversario di questa infinita installazione musicale, Samuele Conficoni ha selezionato trenta esibizioni in ordine cronologico, una per ciascuna annata, in modo tale che ogni singolo anno sia così rappresentato all’interno della lista. La pretesa non è certamente quella di essere esaurienti (e chi mai potrebbe esserlo?), né quella di indicare la miglior performance di ogni anno – anche perché è impossibile farlo, e ciascuno avrebbe le proprie preferenze –, bensì di presentare al lettore una serie di concerti rappresentativi ciascuno del tale anno, della particolare fase creativa che Dylan stava attraversando e della sua evoluzione sui palcoscenici, con un occhio particolare ai passaggi di Bob in Italia.

#1: 13 ottobre 1988 – Upper Darby, Pennsylvania.
La prima, storica data del Never Ending Tour si tenne in California, a Concord, il 7 giugno 1988, con Neil Young ospite alla chitarra in alcuni brani e diversi debutti assoluti di storici brani (“Subterranean Homesick Blues” e “Absolutely Sweet Marie” su tutti). Quell’anno, Dylan si esibisce solo negli States. Il tour autunnale è breve: 6 concerti totali, due a Upper Darby e quattro a New York. Il primo dei due concerti a Upper Darby è speciale. Dylan canta con una voce che sembra provenire dall’aldilà, con un trasporto e un calore sovraumani, snocciolando un capolavoro dopo l’altro: “You’re a Big Girl Now”, “Shelter from the Storm”, “Girl from the North Country”, “Don’t Think Twice”, “Knocking”, “I Shall Be Released”, “The Lonesome Death of Hattie Carroll”, il traditional “Barbara Allen”, “Times” e molto altro. 21 brani totali in poco meno di due ore. Sono due le perle che più colpiscono al cuore: a) la prima esecuzione dal vivo in oltre quattro anni di “With God on Our Side”, brano del 1964, in una versione da brividi di 9 minuti: in questo 1988 il brano viene eseguito in totale 7 volte e contiene una strofa in più: si tratta di una dura accusa agli Stati Uniti per la guerra in Vietnam, argomento che Dylan non aveva mai voluto toccare apertamente prima; b) la chiusura del concerto, che spetta a un brano eseguito raramente e quasi mai alla fine dei concerti, “Every Grain of Sand”, uno dei pezzi più strepitosi della parentesi religiosa di Dylan, scritto nel 1980 e pubblicato nel 1981. In definitiva, questa esibizione è una delle più incredibili di tutta la carriera di Dylan.

#2: 12 ottobre 1989 – New York City, New York.
I quattro concerti al Beacon Theatre di New York di quest’anno sono tutti e quattro stratosferici. Dei concerti del 1989 colpiscono in particolare l’inizio rabbioso che ogni concerto ha e le tante sfumature che Dylan utilizza nell’interpretare i brani, dal pacato e sommesso all’aggressivo ed energico. “Boots of Spanish Leather” diventa il lamento sussurrato di un amante sinceramente dispiaciuto ma profondamente cinico e sprezzante. “Queen Jane Approximately”, tratta dall’album Highway 61 Revisited, altra rarità assoluta che era comparsa per la prima volta nelle scalette durante il tour con i Dead del 1987, è un continuo saliscendi vocale emozionante e allegro, e “Gates of Eden” brilla per la sua grandezza poetica e il suo andamento spettrale. Colpiscono le esecuzioni delle rare “Dead Man, Dead Man” e “Man of Peace”, pubblicate rispettivamente nel 1981 e 1983, brani che comparivano molto di rado in scaletta e che esplodono grazie al loro ritmo furioso. Anche “Mr. Tambourine Man” è bellissima, piuttosto rimaneggiata nella melodia e nel ritmo, eseguita con sicurezza e ispirazione. “Most of the Time”, appena pubblicata sul disco del 1989 “Oh Mercy”, viene suonata spesso quest’anno, e anche questa sera è interpretata magistralmente, comparendo come primo brano dell’encore e precedendo la conclusiva “Maggie’s Farm”, sempre graffiante e ispirata.

#3: 8 febbraio 1990 – Londra, Inghilterra.
Dei sei concerti che Dylan tiene, nel febbraio 1990, presso il prestigioso e antico teatro londinese Hammersmith Apollo, non ce n’è uno soltanto che sia anche solo normale: tutti rasentano il sublime. Scelgo l’ultimo perché a grandi classici riarrangiati si mescolano rarità assolute, come la performance al piano (strumento che, durante il Never Ending Tour, aveva suonato per la prima volta il 20 ottobre 1989 a Poughkeepsie, New York, e che avrebbe suonato molto sporadicamente fino al 2002) di “Disease of Conceit”, dove sul finale Dylan si alza in piedi e canta gli ultimi versi battendo come un ossesso sui tasti neri del pianoforte in una sorta di trance (e, a testimonianza di ciò, si visioni la performance, reperibile su YouTube). Sempre l’8 febbraio compare la seconda e a oggi ultima performance live di “You Angel You”, brano del 1974 suonato per la prima volta qualche settimana prima (14 gennaio) e scomparso per sempre dalle scalette dopo queste due esecuzioni isolate. C’è una “Most of the Time” da pelle d’oca e una “Like a Rolling Stone” che anno dopo anno diventa sempre più strana, sperimentale e spezzata nel cantato di Dylan, un vero e proprio pezzo hip-hop. Questo show londinese è uno dei concerti più stratosferici della carriera di Bob.

#4: 8 agosto 1991 – Buenos Aires, Argentina.
I concerti del 1991 sono particolarmente anarchici: lo stesso brano è suonato in modo molto diverso ogni sera, alcune performance risultano addirittura confusionario, ma nonostante ciò Dylan e la sua band – per ora ancora di tre elementi, tra cui il bassista Tony Garnier giunto nel 1989 ed elemento fisso fino al presente – non perdono mai il filo del discorso. Lo show si apre con una trionfale “New Morning”, suonata di rado, e in particolare con un assolo di armonica che lascia a bocca aperta (Dylan è probabilmente il più grande armonicista vivente). Il cantato è molto libero e il brano assume i caratteri di un lamento amoroso molto lontano dalla sua valenza positiva e ottimistica del suo corrispettivo su album. Indimenticabile è soprattutto la seconda canzone in scaletta, uno dei diamanti dell’intero NET 1991: si tratta della performance di “People Get Ready”, storica canzone degli Impressions, firmata da Curtis Mayfield, che Dylan aveva già suonato durante le rehearsal per il tour Rolling Thunder Revue del 1975 (e qualche minuto di quella versione di prova si può ascoltare nel film sperimentale “Renaldo & Clara”, girato proprio durante quella tournée e uscito nel 1977). Segue una “Shelter from the Storm” sempre da brividi, che ogni anno cambia un po’ nella melodia e nella velocità d’esecuzione. Il traditional “Trail of the Buffalo” è praticamente fisso in scaletta da molto tempo ma ogni sera risulta freschissimo, eseguito in maniera convincente e sentita, e ha un arrangiamento che risulta al tempo stesso filologico e innovativo. Il “filotto” anni Sessanta colpisce con una potenza e una perfezione rari: “Blowing”, “It Ain’t Me”, “Tambourine” e “Don’t Think Twice” vengono snocciolate una dopo l’altra. Il concerto si chiude con la bellissima e rassegnata “What Good Am I?” e il classico “Ballad of a Thin Man”, di cui non esiste probabilmente una sola versione delle oltre mille suonate che sia poco convincente.

#5: 15 aprile 1992 – Sydney, Australia.
Il NET 1992 vede Dylan alternare serate meravigliose a serate più confuse, sempre qualitativamente alte ma più altalenanti, cosa dovuta forse alla forte dipendenza da alcol che alcuni biografi (Howard Sounes su tutti) sostengono il cantautore abbia attraversato quell’anno. Il concerto del 15 aprile parte fortissimo col classicone blues “Rainy Day Women”, ma a essere strepitosa è la canzone successiva, “Delia”, un brano folk-blues tradizionale reso celebre da Blind Willie McTell, amatissimo da Dylan, che lo avrebbe inciso anche sul proprio disco acustico del 1993 “World Gone Wrong”. Dylan suona “Delia” nella versione di McTell, diversa da quella leggermente riarrangiata che avrebbe poi inciso su album. Tutto il concerto è meraviglioso e ben orchestrato, grazie a una band sul pezzo (dal 1992 sono in cinque sul palco, Bob compreso) dalla prima all’ultima nota e a un Dylan che sembra avere il potere magico di rendere ogni verso di ogni canzone melodicamente differente da quello appena precedente e da quello appena successivo. I concerti australiani del 1992 sono amatissimi dai dylaniani più accaniti, e mostrano come anno dopo anno i brani vengano sempre più decostruiti, spezzettati e accartocciati, fino a diventare canzoni completamente diverse dalla versione originale. Come ebbe modo di definirlo il collega e amico Elliott Murphy, Dylan è il Picasso della musica. Che decida di suonare ogni sera una scaletta diversa, come avveniva nel 1992 o che decida di suonare la medesima scaletta ogni sera per anni, come avviene di recente, ogni singolo brano non sarà mai uguale all’altro, come le decine e decine “Cattedrali di Rouen” di Monet e le oltre cinquanta versioni de “Las Meninas” di Picasso stesso sono tutte diverse tra loro: come loro anche Dylan, dall’inizio della sua carriera a oggi, è alla ricerca di quel “capolavoro sconosciuto” che Balzac tentò di descrivere nell’omonimo racconto. Sempre in questo concerto sono memorabili il tradizionale “Little Moses”, punto fisso di moltissimi concerti del 1992 e del 1993, “Hard Rain”, “Idiot Wind” (questa non veniva eseguita dal vivo dal 1976, viene riproposta per 40 volte nel 1992 e da allora scompare per sempre dai live). Ci sono una “Times” esaltante, una “Absolutely Sweet Marie” che riesce a recuperare le sonorità Blonde on Blonde, e un’accoppiata strepitosa finale con “Ballad” e “Blowing”, la prima gridata e la seconda sussurrata come una preghiera.

#6: 16 & 17 novembre 1993 – New York City, New York.
Mi va di barare un po’: trenta concerti per trent’anni di tour sono davvero pochi, e dunque accorpo in un solo punto quattro concerti estremamente simili tra loro tenuti da Dylan al Supper Club di New York il 16 e 17 novembre 1994, pomeriggio e sera, in un locale piccolissimo e in unplugged. Le performance sono decisamente migliori di quelle che avrebbe sfoderato nell’unplugged registrato per MTV esattamente un anno dopo. Le scalette hanno pochi classici, tutti riarrangiati (tra cui “Queen Jane”, “My Back Pages”, “Forever Young”, “I Shall Be Released”), e contengono tantissimi brani folk tradizionali o di bluesman statunitensi che Dylan aveva registrato sui due recenti album, Good as I Been to You e World Gone Wrong: troviamo così una struggente revisione di “Delia” e una “Jack-A-Roe” da brividi. Colgono nel segno anche le rivisitazioni unplugged di alcuni brani di “Oh Mercy” come “Disease of Conceit” e, soprattutto, “Ring Them Bells”, devastante; ma la perla assoluta è una “Tight Connection to My Heart” bellissima in chiave acustica, lontana dalla versione mediocre registrata in studio nel 1985. Dylan canta con una voce secca e nasale che non disdegna alcuni picchi in altezza e che tocca moltissimi range, dalla cantilena sognante di una “I Want You” tormentata (questo è, forse, l’unico brano che risulta migliore nell’unplugged MTV dell’anno successivo, anche se non venne selezionata per la performance ufficiale ed è reperibile solo su bootleg) alla preghiera erotica di “I’ll Be Your Baby Tonight”. Jeff Buckley era presente al concerto del 17 novembre, giorno del suo compleanno, e Bob lo avrebbe ricevuto nel proprio camerino dopo lo show.

(continua...)