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20/11/2024
12/02/2017 SANREMO 2017 - IL NOSTRO COMMENTO (SEMISERIO)
Il Festival secondo ''Sua Acidità'' Enrico Faggiano
Francesco Gabbani – Occidentali’s karma – (arriva 1) - Allora c’è vita. Rivincita verso i polli d’allevamento dei talent, verso le mille canzoni pallose e tristissime, verso le vittorie in fotocopia. Una delle più grosse sorprese della storia (peraltro è la prima volta che qualcuno fa la doppietta giovani-big un anno dopo l’altro), che sembra quasi fatta apposta per smentire troppi, troppi giorni ad ascoltare semolini riciclati. E con lo scimmione, all’Eurofestival si divertiranno. Applausi: una delle rarissime cose non banali uscite da Sanremo negli ultimi… venti? Trenta? Quaranta anni?
Fiorella Mannoia – Che sia benedetta – (arriva 2) – Fin troppo pompata per la vittoria finale, e forse paga il rischio di far passare tutto come già predefinito. Eppure non sarebbe stato malaccio, visto che lei arriva, fa capire che gli ultimi 10 anni di fuoriusciti dai talent sono stati assolutamente inutili, e che avrebbe potuto portarsi a casa tutte le pseudotalentuose anche solo intonando una gara di rutti sulla base di “Come si cambia”. Non lo fa, porta una canzone da Mannoia, e forse nemmeno lei è incazzata per il secondo posto: aveva più bisogno Sanremo di lei, che non viceversa.
Ermal Meta – Vietato morire – (arriva 3) – Potrebbe mettersi a far lagne e strazi su tante cose, eppure tiene su il morale con base non da suicidio e testo che non banalizza faccende altrimenti banalizzabili. Una sorpresa, anche solo per chi non lo conosceva al di là di qualche canzone per altri scritta. Trovasse un po’ di equilibrio tra allegria e riflessione, potrebbe dare delle buone pagine di scritti.
Michele Bravi – Il diario degli errori – (arriva 4) - Vista l’età si potrebbe pensare più che altro ad un sussidiario dove gli errori sono quelli di confusione tra scrivere parole con “ci” e “chi”. E’ come se non avesse il fisico per tali sofferenze esistenziali, perché lo vedi e ti verrebbe da andare dalle parti di Giusy e chiederle un annuncio, “si è smarrito un bambino, lo trovate in cassa 8”. Magari a sentirlo senza vederlo, sai mai…
Paola Turci – Fatti bella per te – (arriva 5) – Tenta la carta milf dopo anni sanremesi passati come seriosa e fin troppo castigata potenziale nuova proposta. Non le va nemmeno tanto male, aumentando i ritmi (il Nek di due anni fa ha fatto molto, molto scuola) e dimostrando, in primis a sé stessa, che vanno bene i libri e le autobiografie su quello che è successo, ma prima di diventare un caso da Verissimo ha ancora molto da cantare. Meglio per lei.
Sergio Sylvestre – Con te – (arriva 6) – Non fosse perché è gigantesco e abbronzato (cit.), alla fine passerebbe per la solita proposta da talent con tanta voce, tanta anima, e nessuno spessore. Però è gigantesco, è abbronzato (cit.), e per questo lo si nota. Ma me lo immagino, certo, nella sua cameretta – che sarà grande come uno stadio, per contenerlo -, a sentire in cuffia queste cose che sarebbero sembrate antiche anche ai suoi trisnonni.
Fabrizio Moro – Portami via – (arriva 7) – Se la sfanga con la solita aria da poeta maledetto che chiede alle cariatidi sanremesi un po’ di misericordia per evitargli un futuro peggiore: ci era riuscito Ramazzotti con “Adesso tu”, lui resta nel limbo. Ma, mi chiedo, nella vita sa fare anche cose allegre, o gli muore un gatto tutti i giorni, così da renderlo tristerrimo?
Elodie – Tutta colpa mia – (arriva 8) - Il problema è la totale mancanza di carisma, per una il cui nome ricorda Anna Mazzamauro in crisi che urla a Fantozzi “Me lo diii!”. Il resto è una semplice dimostrazione di voce, senza alcuna altra velleità di andare oltre il proprio compitino. Restando a Fantozzi, qui siamo a Mariangela che recita la poesia davanti ai megadirettori.
Bianca Atzei – Ora esisti solo tu – (arriva 9) - Non è esagerazione o cyberbullismo, ma si continuano ad ignorare i motivi per cui questa continui ad andare a Sanremo, non essendo né voce né repertorio. Dirà, “facile per le mie ave, a cui i pezzi li scrivevano i grandi cantautori, io al massimo ho Kekko dei Modà”. Appunto, si può cambiare mestiere: la storia insegna che, ad esempio, a fare l’igienista dentale si rischia di entrare in politica. Faccia pure, come anche le lacrime davanti al fidanzato: per la cronaca, idea nemmeno originale, visto come le telecamere riprendevano Celentano, nel 1982, quando Claudia Mori lo bacchettava per le sue scappatelle. Ma lì almeno si rideva. Bianca, dai, basta con questo accanimento terapeutico.
Samuel – Vedrai – (arriva 10) - Si ascolta, e non è nemmeno qualcosa di clamoroso detto di uno che, tutto sommato, qualcosa di radiofonico in carriera lo ha anche fatto. Si ignorano le ragioni di questo distacco temporaneo dai Subsonica, che lo rende forse più autorale e meno “alla moda”. Che poi, anche i Subsonica, sono in giro da 20 anni: cosa vuoi essere di moda, ormai, in un mondo dove si vince notorietà con qualche insulto su Facebook e poco altro? Di certo, al di là della sufficienza, servirebbero più Samuel e meno bagagli da talent. Peraltro, se i Subsonica nascessero oggi, verrebbero mandati ad Amici, si suggerirebbe a Samuel di provare l’accoppiamento con una velina per andare a Verissimo, e fine della festa.
Michele Zarrillo – Mani nelle mani – (arriva 11) - Cosa vuoi dire a Zarrillo? Che da 30, 40 anni porta avanti il suo percorso, senza mai – o quasi – alzare di una battuta il proprio ritmo, abbracciato al microfono e cercando conforto. Al suo pubblico piace, il suo non pubblico ormai lo ha abbandonato dai tempi in cui passava la notte insieme a pensieri ed amori. Se nessuno gli chiede di andare in pensione, faccia pure, anche perché è l’unico a superare il gerontocidio del venerdì. Inspiegabilmente.
Lodovica Comello – Il cielo non mi basta – (arriva 12) – Un pochino meno noiosa del resto di quella categoria “ho imparato alla Coop” che arrivano dai talent. Però è questione di gusti. Ora, lo vorranno capire che andando avanti così potranno fare solo della mezza classifica a Sanremo, e che per crearsi uno stile serve qualcosa di un po’ diverso? O va bene solo traccheggiare, così da avere qualche like su Facebook?
Marco Masini – Spostato di un secondo – (arriva 13) – Ecco, uno sente che ci sarà Masini, con barba lunga, a quasi rappare. Gli verrebbe da ridere, ma alla fine la cosa sembra quasi onesta e credibile. Chiaro che con queste cose, anni e anni fa, non sarebbe riuscito a diventare Masini, con tutto quello che è significato. Però si è rifatto una verginità senza bisogno di parlare di strazi, cosa che comunque sia ora fanno benissimo altri. Senza nemmeno impazzire come capitò a lui.
Chiara – Nessun posto è casa mia – (arriva 14) - Una delle tante decognomate che continuano, imperterrite, ad imperversare a Sanremo senza denotare qualcosa che non sia buona intonazione, ma davvero poco che le permetta di avere un proprio marchio di fabbrica. Come ripeto sempre e comunque: le Bertè, le Oxe, le Rettore, le Mannoie dei bei tempi, le riconoscevi al primo sospiro di canzone. Qui, tra lei e tutte le figlie dei talent, che differenze ci sono? Il talento, senza un minimo di personalità e carisma, non serve a niente.
Alessio Bernabei – Nel mezzo di un applauso – (arriva 15) - Ci deve essere un motivo nascosto, se questo soggetto è al terzo festival consecutivo assieme a Carlo Conti: ne detiene foto compromettenti, tipo “quando eri bianco”? Un tempo esistevano sì soggetti che nascevano e morivano a Sanremo – citofonare Marco Armani – ma almeno prima passavano un po’ di tempo tra i giovani. Inspiegabile, per la totale assenza di appeal, di carattere, di stile, di qualità, di qualsiasi cosa.
Clementino – Ragazzi fuori – (arriva 16) - Rapper istituzionale che va a Sanremo a parlare di buoni sentimenti e cose simili. Un po’ Finizio e Scampia, un po’ varie ed eventuali, restando misteriosamente privo di quello che dovrebbe essere il must per uno che fa il suo genere, ovvero l’incisività. Qui è un po’ come voler fare il rivoluzionario guardando però che mamma e papà non si arrabbino. Al massimo può far vedere che ha messo la maglietta della salute e non si prenderà una bronchite.
Al Bano – Di rose e di spine – (eliminato venerdì) - Ok, è un monumento nazionale, forse non potrebbe nemmeno esistere un Sanremo senza di lui. Ma possiamo anche dire che negli ultimi 20 anni si ignora, forse “E’ la mia vita” a parte, qualche sua roba che abbia superato i confini delle Barbare D’Urso e delle Toffanin? Aggiungendo poi i problemi di salute che ne stanno minando la voce: si invecchia, ragazzo mio. Va bene, venderai milioni in Uzbekistan, però un consiglio: prossimo anno sanremizza in duetto con Toto Cutugno. Vi voterebbero tutti, tutti, e non come qua: il suo KO del venerdì è uno spartiacque culturale non da poco. Una Epifania al contrario.
Giusy Ferreri – Fa talmente male – (eliminata venerdì) – Ormai caricatura di sé stessa, con quella voce nasale attorcigliata che una volta va anche bene, la seconda ok, la terza un po’ meno, la quarta fa talmente male (cit.) da diventare sgradevole. Eppure il pezzo, senza le sue scatarrate, sarebbe potuto essere carino, ma non diteglielo, altrimenti si emoziona e in cassa 9 batte due volte il codice a barre dell’insalata. Peccato, sta diventando una parodia.
Ron – L’ottava meraviglia – (eliminato venerdì) – Ci sta, ahilui, perché non ha il vocabolario per i millennials, e nemmeno una tenuta televisiva tale da poter cercare approdi di voti altrove. Uno che ha già dato il meglio e nemmeno tanto tempo fa: “L’ottava meraviglia” sarebbe andata bene, come argomento, scritta e duettata con Jovanotti e i suoi spettacoli da big ben. Così è come parlare arabo in mezzo agli Inuit: che tu dica cose belle o cazzate, nessuno ti capisce.
Gigi D’Alessio – La prima stella – (eliminata venerdì) – Un brano anche onesto, nel senso di roba d’alessiana che non eccede in birignao, lagne e strazi. Ma come fare, quando ormai racchiudi in te stesso una nomea tale per cui se anche facessi cose decenti verresti preso a pernacchie? Se anche facessi, che non è detto che le fai, eh? Vittima del proprio personaggio, ora vada a fare qualche trenino alle feste paesane, sembrava un angelo ma era un diavolo, va bene?
Nesli e Alice Paba – Do retta a te – (eliminata subito) - Sono talmente trasgressivi che al confronto Minghi e Mietta potevano sembrare Jim Morrison e Pamela Courson. Lui si veste di blu con dei pois bianchi: stonato per stonato, non potevano andare a Sanremo Nina Zilli e il suo compagno, industriale della calzatura sportiva occasionalmente prestato al basket, e che da qualche mese proprio di blu a pois bianchi si veste?
Raige e Giulia Luzi – Togliamoci la voglia – (eliminata subito) – Dai, non pare nemmeno tanto male, perché è un po’ anomala, un po’ ritmata, un po’ variata. Però paga due cose. Intanto, il sembrare fin troppo una operazione paracula studiata a tavolino per Sanremo (e non è che tutti siano Baldi e Alotta, eh? Ci sono anche la Tatangelo e Stragà, nella storia). Poi, un dubbio. Chi cavolo sono costoro da poter già essere spediti tra i big? Certo, non che attorno ci siano De Gregori e Guccini, ma forse ci sono Amici di prima e di seconda categoria.
Giovani – Gara ormai inutile, perché è impossibile distinguere i giovani presenti qua e quelli presenti tra i big, dato che arrivano dalla stessa fonte, cantano tutti allo stesso modo, spariscono tutti allo stesso modo. Vince uno che proviene da Amici. Toh, non lo si sarebbe mai, ma davvero mai, detto.
(Enrico Faggiano)